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7 dicembre 2020
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- EDITORIALE
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Un muro contro muro con l'UE sulla tassazione dei porti non
sembra producente per l'Italia
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- Utile un confronto con i funzionari della Commissione Europea
per scindere le attività di pura natura pubblicistica da
quelle economiche
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Fra quelli che in Italia si sono chiesti perché la
Commissione Europea abbia ripetutamente invitato a modificare il
regime di tassazione delle Autorità di Sistema Portuale
italiane abrogando l'esenzione dall'imposta sul reddito delle
società di cui attualmente beneficiano, la quasi totalità
ha desunto che a Bruxelles non abbiano capito com'è il
sistema italiano di regolazione dei porti e, banalmente, che in sede
europea non si comprenda, o non si voglia comprendere, che le AdSP
italiane non sono imprese ma enti pubblici non economici.-
- Ora che la Commissione UE ha ultimativamente chiesto all'Italia
di variare queste norme
(
del 4
dicembre 2020), ci sembra che sia una domanda oziosa chiedersi
se a Bruxelles di portualità italiana non ne capiscano nulla
o piuttosto facciano orecchie da mercante. Una domanda veramente
inutile sia se rivolta da quelli che ritengono che il governo
italiano in passato abbia fatto poco per difendere le proprie tesi
presso la Commissione Europea sia da quelli che reputano che a
Bruxelles non ci sia - in buona o mala fede - nessuno in grado di
comprendere il perché delle norme italiane sulla portualità.-
- Oltre che interrogarsi sulle proprie ragioni, nell'ottica di
trovare una soluzione sarebbe forse il caso di chiedersi perché
la Commissione Europea si ostina a chiedere all'Italia quello che
quest'ultima si rifiuta di concedere.
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- Precipuo compito della Commissione è quello di proporre
nuove leggi e di contribuire a definire la strategia dell'Unione
Europea. Si può considerare quest'ultima come
un'organizzazione delle Nazioni Unite d'Europa e credere che la
Commissione sia uno degli organi che contribuiscono al mantenimento
delle “buone relazioni” sociali ed economiche tra le
nazioni europee. Non è così. L'UE non è l'Onu.
L'Unione Europea ha sì con le Nazioni Unite alcuni importanti
obiettivi comuni. Ma ne ha di assai differenti e più
concreti, a partire dal compito di stabilire un'unione economica e
monetaria. Basterebbe questo a far comprendere perché la
Commissione Europea cerca incessantemente di armonizzare le norme
che regolano le attività economiche degli Stati dell'Unione,
e quindi perché cerca di farlo anche rispetto alla
portualità.
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- I sistemi di governance dei porti europei nordeuropei e
mediterranei sono assai differenti. Di integrale gestione
imprenditoriale si può parlare solo dei porti del Regno
Unito, dove le aziende non solo gestiscono in toto le attività
portuali, ma sono anche proprietarie delle aree portuali. Si può
comunque schematicamente parlare di natura prettamente pubblicistica
delle autorità portuali degli Stati dell'UE sul Mediterraneo,
in particolare dell'Italia con le sue AdSP che sono appunto enti
pubblici non economici, e invece di natura privatistica delle
autorità portuali degli Stati nordeuropei in quanto
assimilabili a società per azioni anche se partecipate
generalmente da enti pubblici locali e statali.
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- È ovvio che, svolgendo il suo compito di armonizzazione
delle differenti norme in materia portuale, la Commissione UE debba
imporre regole che evitino la possibilità di distorsioni del
mercato, in particolare attuate con la concessione di aiuti di Stato
in violazione delle specifiche normative europee. Sotto questo
aspetto, al di là delle ampie “zone grigie” che
caratterizzano entrambi i sistemi, appare più agevole
accertare queste infrazioni nell'ambito del regime di governance
portuale nordeuropeo piuttosto che in quello sudeuropeo. Le autorità
portuali nordeuropee sono ben consce della preferenza dell'UE per il
loro sistema di governance ritenuto più “trasparente”.
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- Arrancando, negli ultimi anni le autorità portuali
sudeuropee non hanno fatto altro che sollecitare ripetutamente la
Commissione Europea a prendere atto della validità del loro
regime di governance, ma non hanno cercato di imporlo come
riferimento per la legislazione europea sui porti. Forse ritenevano
di rivolgersi alle Nazioni Unite d'Europa invece che all'Unione
Europea, o forse sapevano di non avere alcuna possibilità di
successo. Fatto sta che, oggi come oggi, pare impensabile che la
Commissione Europea possa cambiare parere rispetto alla propria
convinzione della natura imprenditoriale della gestione delle aree
portuali affidate dalle autorità portuali.
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- Per l'Unione Europea, come ribadito dalla Commissione Europea e
dalla Corte di Giustizia dell'UE, i profitti prodotti dai porti
devono essere tassati, quale che sia la forma giuridica
dell'operatore sotto cui ricadono queste attività economiche
(tra queste lo sfruttamento commerciale delle infrastrutture
portuali attraverso un rapporto contrattuale sinallagmatico).
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- Da tempo diverse nazioni dell'UE hanno preso atto di questo
orientamento e, in ultimo la Spagna, hanno deciso di adeguare le
proprie leggi senza snaturare il loro regime di governance. Sinora,
invece, l'Italia non ha neppure preso in considerazione l'ipotesi di
cedere di un passo, come se non si possa salvaguardare la natura
pubblicistica della missione delle Autorità di Sistema
Portuale pur introducendo modifiche al sistema di governance, come
ad esempio ha fatto la Spagna attraverso l'individuazione - in
contraddittorio con i funzionari della Commissione Europea - di
quelle attività di pura natura pubblicistica svolte dagli
enti, e quindi escluse dalle regole europee sugli aiuti di Stato,
scindendole da quelle che sono da considerarsi attività
economiche.
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- Forse sarebbe ora che il governo di Roma valuti questa strada.
Il muro contro muro non sembra produttivo per l'Italia, che è
rimasta l'ultima nazione dell'UE in cui si ritiene che o si è
“pubblici” sino al midollo oppure si è “privati”
con la conseguente deduzione - sbagliata - che i porti perdano la
possibilità di ottenere il sostegno dello Stato.
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- In conclusione, invece che accanirsi in uno scontro ideologico,
è forse più proficuo per l'Italia negoziare un
adeguamento della propria legislazione portuale, anche a vantaggio
di un'Unione Europea che non sia quella auspicata dagli europeisti
della domenica o dai sovranisti che cercano di smantellarla.
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- Bruno Bellio
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